Regime forfettario e reverse charge

Il regime forfettario è un regime fiscale agevolato, sostitutivo dell’IRPEF. Possono beneficiarne i titolari di partita IVA, purchè rispettino determinati requisiti, godendo in questo caso di una tassazione agevolata del 15 per cento (che nei primi 5 anni, per le nuove attività, può scendere al 5 %, per assestarsi al 15% a partire dal sesto anno).
Per il titolare di partita IVA che voglia accedere e rimanere all’interno di questo regime, è previsto un limite massimo di ricavi o compensi, che non deve essere superato ed è fissato in 65.000 euro annui. 

Il reverse charge, invece, è un particolare sistema di applicazione dell’IVA, riguardo ai rapporti intracomunitari. Determina l’inversione contabile dell’IVA, che, a differenza di quanto accade normalmente, deve essere assolta dal destinatario dei beni e servizi oggetto di fattura.
L’ inversione contabile consiste nel fatto che il fornitore o il prestatore non deve, come di consueto, addebitare l’IVA in fattura, perché l’IVA non deve essere assolta dal fornitore di beni o dal prestatore di servizi. Non è che venga meno il dovere di integrare l’importo della fattura con l’imposta sul valore aggiunto, ma l’obbligo ricade in capo al cessionario/acquirente.
Infatti lo scopo del reverse charge è quello di evitare che, nei rapporti intracomunitari, la detrazione dell’IVA applicata da fornitori esteri venga incassata da Stati esteri, cercando così di scongiurare la necessità di utilizzare una particolare modalità di compensazione comunitaria, più complessa da regolamentare.

Il reverse charge è stato introdotto nell’ ordinamento italiano dalla Legge n. 7/2000, in attuazione di quanto disposto dalla Direttiva comunitaria 98/80/CE, concernente il regime IVA applicabile all’oro. Nello specifico, tale legge, ha modificato il DPR n. 633/1972 introducendo il comma 5 dell’art. 17. Nel dettaglio, il reverse charge interessa alcuni specifici settori, quali quello dell’edilizia, dell’oro, dei rottami, dei prodotti elettronici, dei consorzi e del gas ed energia. In virtù di quanto disposto dall’articolo 17 del DPR n. 633/1972, l’inversione contabile si applica:

  • alle cessioni imponibili di oro da investimento e alle cessioni di materiale d’oro e di prodotti semilavorati di purezza pari o superiori a 325 millesimi;
  • alle prestazioni di servizi, compresa la manodopera, rese nel settore edile da soggetti subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili o nei confronti dell’appaltatore principale o di un altro subappaltatore,
  • alle vendite di fabbricati o di loro porzioni di cui all’articolo 10, comma 1, numeri 8-bis) e 8-ter), del DPR n. 633/1972, per le quali il cedente abbia manifestato espressamente nel relativo atto l’opzione per l’imposizione;
  • ai servizi di pulizia, demolizione, installazione di impianti e completamento nel settore edile;
  • alle prestazioni di servizi rese dalle imprese consorziate nei confronti del consorzio di appartenenza aggiudicatario di una commessa nei confronti di un ente pubblico al quale il predetto consorzio è tenuto ad emettere fattura;
  • alle prestazioni di servizi diverse da quelle fino a ora citate effettuate tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo o a esso riconducibili in qualunque forma (eccezion fatta per le operazioni effettuate nei confronti di pubbliche amministrazioni e altri enti e società di cui all’articolo 11-ter del DPR n. 633/1972 e alle agenzie per il lavoro);
  • alle cessioni di apparecchiature terminali per il servizio pubblico radiomobile terrestre di comunicazioni soggette alla tassa sulle concessioni governative, dei loro componenti e dei loro accessori;
  • alle cessioni di consolle da gioco, tablet, PC, laptop, dispositivi a circuito integrato effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale;
  • ai trasferimenti di quote di emissioni di gas a effetto serra o di altre unità che possono essere utilizzate dai gestori per conformarsi alla Direttiva 2003/87/CE e dei certificati relativi al gas e all’energia elettrica;
  • alle cessioni di gas e di energia elettrica a un soggetto passivo rivenditore.

A livello pratico, con l’applicazione del reverse charge, il fornitore di beni o il prestatore di servizi deve emettere fattura senza aggiungere, come avviene di consueto, l’IVA all’imponibile e indicando espressamente che tale mancato addebito è conseguenza di quanto previsto dal comma 5 dell’articolo 17 del DPR n. 633/1972, che disciplina il reverse charge.
A questo punto, il cessionario/acquirente, che riceve la fattura, è gravato da un duplice onere:

  • deve integrarla applicando l’aliquota IVA prevista,
  • deve annotarla in entrambi i registri IVA, sia nel registro vendite che nel registro acquisti, entro il mese dal ricevimento.

Con il passaggio alla fatturazione elettronica, il reverse charge era stato specificato con il codice N6, ma dall’ottobre del 2020, il codice N6 non è più sufficiente e va integrato con i seguenti 9 sottocodici, relativi alla prestazione resa e fatturata:

  • N6.1 – cessione di rottami e altri materiali di recupero
  • N6.2 – cessione di oro e argento puro
  • N6.3 – subappalto nel settore edile
  • N6.4 – cessione di fabbricati
  • N6.5 – cessione di telefoni cellulari
  • N6.6 – cessione di prodotti elettronici
  • N6.7 – prestazioni comparto edile e settori connessi
  • N6.8 – operazioni settore energetico
  • N6.9 – altri casi

Sebbene il meccanismo dell’inversione contabile sia certamente uno strumento utile per risolvere i problemi derivanti dai rapporti intracomunitari, non è del tutto esente da rischi.
Esiste, infatti, un vero rischio che può sorgere dal reverse charge: quello che alcuni acquirenti lo utilizzino per esonerarsi dal pagamento dell’IVA, qualificandosi come soggetti passivi quando in realtà non lo sono.
Tale problematica risulta amplificata dalla fatturazione elettronica che, come noto, è immodificabile. Dato che, in generale, il meccanismo prevede l’emissione di un’autofattura da parte del cliente, il fornitore di beni o il prestatore di servizi non può evitare tale vizio, non essendo agevolmente in grado di controllare l’esatta natura del soggetto con il quale si trova a interagire.
Infatti sarà compito del committente, che è incaricato dell’assolvimento dell’imposta, integrare la fattura ricevuta, poiché il cedente emette un documento privo di addebito dell’IVA.

Comunque le possibilità per provvedere all’integrazione sono due:

  • stampare la fattura e integrarla;
  • predisporre un nuovo documento nel quale inserire i dati per l’integrazione e gli estremi della fattura da integrare, per poi allegarlo al file di quest’ultima e inviare il documento al Sistema di Interscambio.

Tra regime forfettario e reverse charge intercorre un legame particolare: i soggetti sottoposti a questo regime non applicano il reverse charge alle prestazioni rese, ma devono applicarlo nelle fatture ricevute, qualora ne ricorrano i presupposti. Classico caso è quello legato alle operazioni intracomunitarie ricevute.
Molto spesso si tende a credere che, siccome il regime forfettario è un regime che non rientra nel campo di applicazione dell’IVA, allora non debba utilizzare il meccanismo dell’inversione contabile. Tuttavia non è così e anche chi opera in regime forfettario deve applicare il reverse charge, nel caso in cui riceva fatture di servizi da fornitori residenti in Paesi UE o Extra-UE.

Esempio: un titolare di partita IVA opera in regime forfettario ed ha eseguito degli acquisiti di servizi da parte di un fornitore residente in Francia, che ha emesso regolare fattura assoggettando la stessa al regime di imponibilità nel Paese del committente, attraverso il meccanismo del reverse charge.
In questo caso, le prestazioni di servizi ricevute dal contribuente che opera in regime forfettario, da altro soggetto IVA appartenente ad altro Stato UE, rimangono soggette alle ordinarie regole. Per cui, anche in questo caso si applicano la disciplina e le disposizioni previste dagli articoli 7-ter e seguenti del DPR n. 633/72 in ambito IVA. Nel caso di acquisti di prestazioni di servizio intra-comunitarie, l’IVA deve essere in ogni caso assolta in Italia (Circolare n. 10/E/2016).

Per le operazioni estere effettuate in regime forfettario riguardanti gli acquisti di beni si applica l’articolo 38 del d.l. n. 331/93. Per questo tipo di operazioni è necessario tenere in considerazione il seguente limite:

  • che nel corso dell’anno precedente non sia stata superata la soglia di 10.000 euro di acquisti;
  • che la stessa soglia (di 10.000 euro) non sia superata nell’anno corrente.

Verificate tali condizioni, tutti gli acquisti di beni effettuati da soggetti in regime forfettario non sono considerati acquisti intracomunitari, ma sono equiparati ad acquisti interni e perciò risultano assimilati agli acquisti effettuati da privati. Per quanto riguarda l’applicazione dell’IVA, il fornitore estero (UE o extra-UE), emetterà la propria fattura addebitando l’IVA del proprio Paese.

Nel caso in cui, invece, si superi la soglia di 10.000 euro di acquisti, l’operazione estera viene considerata come acquisto intracomunitario, ricorrendo all’inversione contabile. Allora sarà necessario procedere all’integrazione della fattura ricevuta, applicandovi l’IVA con il meccanismo del reverse charge. La fattura ricevuta dal fornitore estero (UE o extra-UE) deve essere registrata entro il giorno 16 del mese successivo a quello dell’operazione. Inoltre, nello stesso termine dovrà essere versata la relativa IVA.

Riassumendo, gli obblighi che deve rispettare il soggetto acquirente (italiano) sottoposto a regime forfettario, sono:

  • Iscrizione al VIES (articolo 35, comma 2, lett. e-bis) DPR n. 633/1972), ovvero l’elenco delle partite IVA che possono operare in ambito comunitario;
  • Integrazione della fattura rilasciata dal fornitore intra-comunitario – in base al meccanismo di cui all’articolo 46, comma 1, d.l. 331 del 1993 (reverse charge) – indicando l’aliquota IVA dovuta e la relativa imposta;
  • Versamento dell’IVA entro il giorno 16 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione. Il versamento dell’IVA si rende necessario in quanto il soggetto in regime forfettario opera senza diritto alla detrazione dell’IVA sugli acquisti;
  • Compilazione dell’elenco riepilogativo degli acquisti intra-comunitari ex articolo 50 comma 6, del d.l. n. 331/93.

E’ opportuno menzionare che chi agisce nel regime forfettario, gode di una serie di semplificazioni negli adempimenti fiscali rispetto a chi, invece, opera in regime ordinario.
Chi opera nel regime di favore, infatti, è esonerato:

  • dalla registrazione delle fatture e dei corrispettivi;
  • da tenuta e conservazione dei registri;
  • dalla liquidazione e versamento dell’IVA;
  • dalla dichiarazione IVA;
  • dall’Esterometro;
  • dalla comunicazione delle liquidazioni IVA, ecc.

Resta fermo l’obbligo di certificare i corrispettivi e di numerare e conservare le fatture emesse e ricevute.
Ad ogni modo, questi esoneri permangono indipendentemente dagli adempimenti obbligatori che occorre porre in essere nel caso in cui il contribuente forfettario svolga operazioni Intra-UE. Infatti, nell’esempio sopra riportato, nonostante il contribuente abbia dovuto effettuare il reverse charge e perciò abbia dovuto versare l’IVA all’Amministrazione finanziaria, in Italia resta comunque esonerato dalla liquidazione IVA, dalla dichiarazione IVA, dalla comunicazione delle liquidazioni IVA e dall’Esterometro.

L’imposta dovuta in conseguenza ad operazioni di reverse charge, in capo a una partita IVA sottoposta a regime forfettario, si salda tramite modello F24. Il codice tributo da utilizzare è quello del mese di riferimento. Ad esempio, se la fattura fosse di gennaio, l’IVA andrebbe versata entro il 16 febbraio con codice tributo 6099.

La ricezione di fatture in ambito intracomunitario comporta per il contribuente in regime forfettario l’adempimento legato all’applicazione del reverse charge e quindi il versamento della relativa IVA sulla fattura ricevuta. Per questo motivo i soggetti che operano in regime forfettario e che ricevono fatture dall’estero devono interrogarsi sul costo legato al versamento dell’IVA (che per i forfettari non è detraibile). Caso classico è quello dei soggetti che operano in e-commerce con regime forfettario e che ricevono fatture in ambito UE. Tali soggetti, quindi, sono chiamati a valutare la convenienza nel restare (o meno) in questo regime fiscale di favore.

Diverso il discorso per i soggetti in regime ordinario. Per loro le fatture ricevute in reverse charge ed integrate dell’IVA, necessitano di una doppia registrazione, sia nel registro delle fatture emesse, che in quello degli acquisti, così da impattare l’imposta e non dovere nulla all’Erario.

Ad esempio, un medico o altro soggetto che effettui operazioni esenti da IVA, se affida ad un’impresa le pulizie dello studio e riceve la fattura non soggetta ad IVA, dovrà integrarla dell’IVA e registrarla sia nel registro degli acquisti che delle vendite.

Nel caso di contribuenti minimi e nuovi forfettari, che emettono fattura senza applicazione dell’imposta ma segnalano che applicano il particolare regime, il committente non dovrà integrare la fattura. Invece per le fatture d’acquisto, poiché contribuenti minimi e nuovi forfettari risultano debitori d’imposta, dovranno andare ad integrare le fatture ricevute in reverse charge e dovranno versare l’IVA entro il giorno 16 del mese successivo a quello di effettuazione delle operazioni.

Il reverse charge è quindi un sistema che regola e si occupa degli acquisti fra operatori comunitari cioè negli scambi fra membri appartenenti all’Unione Europea. I soggetti passivi (non i privati) per poter usufruire del reverse charge devono essere preliminarmente iscritti all’archivio VIES. Il fornitore che adotta un regime contabile ordinario e che riceve il documento senza IVA sarà tenuto ad integrarlo con l’importo dell’IVA del proprio Paese riportandolo sia nel registro degli acquisti che in quello delle vendite. In questo modo non avrà nessun effetto contabile (+ X di IVA acquisti – X di IVA vendite = zero). Se, al contrario, chi acquista è un soggetto privato il venditore non potrà applicare il reverse charge e procederà regolarmente a inserire l’IVA del proprio Paese.

F.R.

Posted on 5 Gennaio 2022 in Outsourcing

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